“Less is more”, questa la filosofia alla base della vita artistica e professionale di Pierluigi Cerri, uno dei grandi protagonisti della storia creativa milanese, che ha fatto della semplicità, appunto, il suo marchio.

Dire che Pierluigi Cerri è semplicemente un architetto è come non dire niente. Perché basta scorrere il suo curriculum vitae per rendersi conto di come, nel suo caso, il significato che sottende alla parola “architetto” sia del tutto inadeguato. Meglio dire, allora, che Pierluigi Cerri – architetto, designer, creativo, progettista, scrittore, ecc. – è uno dei protagonisti della storia della creatività milanese, partita dagli effervescenti e stimolanti Anni ’60 e giunta fino ai giorni nostri, quelli in cui design e moda la fanno da padrone.

Pierluigi Cerri, lei ha iniziato la sua carriera nella Milano dei primi Anni ’60. Quali differenze ci sono, dal punto di vista della sua professione, con quella attuale?

Pierluigi Cerri ritratto di Filippo Fortis«Per quanto riguarda l’arte e la creatività, in quegli anni Milano era davvero una città europea, che offriva continui stimoli a chi frequentava il mondo della gallerie, delle librerie e dei cosiddetti “cenacoli”. Le avanguardie, le neoavanguardie e i maggiori artisti con le loro opere – da Pollock a Christo, da Tinguely a Ives Klein – erano di casa tra i Navigli e Brera. Per descrivere bene l’atmosfera che si respirava, basta pensare al fatto che nel 1964 la facoltà di architettura fu occupata – ed è stata forse la prima occupazione al mondo – perché gli studenti ritenevano che i docenti fossero troppo poco aggiornati rispetto al contesto internazionale. Oggi è diverso. Ci sono momenti di grande espressività, che coincidono con gli eventi legati al design e alla moda, ma per il resto si respira un’aria che è diventata un po’ troppo poco aperta verso l’esterno».

Parliamo proprio di design e moda, le due migliori espressioni creative della Milano di oggi. Sono il frutto delle esperienze artistiche e creative di quel passato che lei ha appena ricordato?

«Sì, di sicuro. Ma con in più la capacità della nostra industria di essere elastica, flessibile, capace di osare e di adattarsi alle trasformazioni, offrendo il meglio proprio in queste circostanze. Nel design, quello che negli Anni ’60 era pura creazione oggi è diventato griffe e riusciamo a venderlo in tutto il mondo. Anche per la moda è così: il pret-à-porter l’avranno anche inventato in Francia, ma solo l’industria italiana ha saputo realizzarlo in modo così efficace».

Lei interpreta la professione di architetto a 360 gradi, ma di che cosa preferisce occuparsi? C’è qualche progetto che non è riuscito finora a realizzare e pensa di poter portare a termine in futuro?

«Tutti mi riconoscono un certo eclettismo, concetto che a me piace molto, perché contrasta con quello di specializzazione, che invece non amo. Spesso mi chiedono “come fai a progettare una nave?”, io rispondo che si tratta solo di studiare, così come per ideare un ospedale o una sedia… Le cose che preferisco fare sono gli allestimenti, che sono piccole architetture effimere, che verranno smontate di lì a poco e che per questo ti consentono di fare sperimentazioni non possibili nel mondo reale. Cose da fare in futuro? Essere sempre informato sulle nuove esigenze e i nuovi concetti, come la sostenibilità e l’eco-compatibilità, per esempio».

C’è un oggetto che non si sarebbe mai immaginato di progettare e invece…?

«Di sicuro l’Evangeliario del Duomo di Milano, progettato su richiesta dell’allora Arcivescoco Tettamanzi. È stata per me un’esperienza incredibile, davvero coinvolgente e interessante».

Architetto Cerri, tra duecento anni, per quale aspetto della sua carriera professionale vorrebbe essere ricordato?

«Più che su una delle mie creazioni, mi piacerebbe essere ricordato – insieme ai componenti del mio studio – per il modo di concepire le cose, basato sul concetto del “Less is more”, il meno è meglio. Secondo il nostro modo di vedere, una cosa è ben riuscita quando è poco complicata e ha buone qualità funzionali. Mi piace pensare che i nostri oggetti siano in grado di esprimere in tutta semplicità l’idea che li ha concepiti. Quando mi chiedono: “Come hai fatto a pensare alla livrea di Luna Rossa?”, un marchio che ha avuto un successo strepitoso in tutto il mondo, mi piace rispondere che, in fondo, ho semplicemente tracciato una linea rossa…».

Una carriera professionale poliedrica, coronata da riconoscimenti e premi

Nato a Orta san Giulio (Novara) nel 1939, Pierluigi Cerri si laurea al Politecnico di Milano, dove in seguito insegnerà semiotica dell’architettura. Nel 1974 è socio fondatore della Gregotti associati. Nel 1976 dirige l’immagine della Biennale di Venezia. È stato redattore a “Casabella” e “Rassegna”. Suo il design di collane editoriali per varie case editrici italiane, fra cui Electa, Einaudi, Fabbri, Bompiani, Skirà. Ha progettato allestimenti nei più importanti musei d’europa, USA e Giappone. Ha vinto numerosi concorsi di architettura, tra i quali quelli relativi all’area Pirelli alla Bicocca a Milano e all’area per l’Esposizione Universale di Siviglia. A lui si devono il restyling di Palazzo Marino e la sede della Fondazione Pomodoro, a Milano.

Nel 1998 apre lo Studio Cerri & Associati con Alessandro Colombo. Ha progettato sedi espositive e curato la corporate identity di numerose società fra le quali Prada America’s Cup, Ferrari auto, Pitti immagine, i Guzzini, Pirelli. Si occupa anche di progettazione di navi da crociera per il gruppo Costa e di fashion concept, come nel caso delle nuove boutiques Trussardi. Tanti i premi ricevuti, tra cui il Compasso d’Oro per il tavolo “Titano” disegnato per Poltrona Frau nel 2001.

(Articolo pubblicato su “Pleiadi” Creval Magazine numero 61 – Ottobre 2012)

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