Le misure adottate per combattere l’emergenza Covid-19 e l’andamento del business sono così intrecciate che difficilmente si possono scindere, come ci racconta l’ing. Ulderigo Zona, direttore Hitachi Rail Group per il dipartimento Safety, Health, Enviroment and Quality, cui fa capo anche la funzione Corporate Social Responsability and Sustainability del gruppo.
L’emergenza anti Covid-19 ha messo a dura prova la capacità organizzativa di tutte le realtà che costituiscono la comunità umana. Lo ha fatto a livello di interi Paesi, e le cronache dei giornali e dei telegiornali sono piene di notizie che riguardano le azioni messe in campo dai singoli governi e le conseguenze più o meno efficienti per quanto riguarda il contenimento della diffusione del contagio, ma lo ha fatto anche a livello di singole realtà, come lo sono i nuclei famigliari, le comunità territoriali e le aziende.
Per quanto riguarda queste ultime, non tutte hanno reagito allo stesso modo e non tutte hanno ottenuto gli stessi risultati. Ci interessa scoprire come un momento così particolare e unico sia stato affrontato da una multinazionale presente in tutto il mondo come Hitachi Rail. Ne parliamo con l’ing. Ulderigo Zona, direttore per Hitachi Rail Group del dipartimento Safety, Health, Enviroment and Quality, cui è stato affidato l’incarico di guidare tecnicamente la task force centrale, fortemente voluta da Andrew Barr, CEO Hitachi Rail Group, e che è stata presa come riferimento per le 13 task force locali sparse nel mondo.
Ing. Zona, come avete reagito, a livello aziendale, all’attacco del Covid-19? Quali sono stati i vostri punti di forza nell’impostazione delle azioni che hanno contraddistinto la vostra gestione dell’emergenza?
«La nostra reazione è stata, si può dire, immediata: fin dai primi giorni abbiamo creato una task force che ha ragionato in maniera globale, ma raccogliendo i suggerimenti che provenivano dalle varie aree geografiche, assicurando così il rispetto delle esigenze normative e sanitarie locali. Il fatto di essere un’azienda globale ci ha di sicuro agevolato. Abbiamo uffici anche a Pechino e siamo presenti in tutti e cinque i continenti, la possibilità di poter ricevere informazioni da ogni parte del mondo è stata un punto di forza determinante. A questo dobbiamo aggiungere una capacità di integrazione che non ha riguardato solo i nostri dipartimenti e la gestione delle nostre risorse umane, ma anche, e questo ci ha fatto un enorme piacere, i sindacati, che ci hanno supportati nelle nostre scelte con grande senso di responsabilità e spirito di collaborazione».
La vostra è un’azienda davvero globale. Come vi siete posti nei confronti delle varie legislazioni che si sono via via adattate alla situazione di emergenza?
«Appena abbiamo capito che si trattava di un’emergenza di tipo sanitario, abbiamo costituito un comitato medico-scientifico composto da tutte le expertises presenti in Italia, utilizzate dall’azienda in ogni parte del mondo. Il coordinamento dei medici italiani, in contatto continuo con i colleghi francesi, giapponesi e americani ci ha permesso di raccogliere indicazioni preziose nella lotta al virus. E ci ha consentito di partire subito con azioni concrete di protezione e, soprattutto, di prevenzione, anche anticipando gli indirizzi poi definiti a livello governativo nei diversi Paesi. La prima misura che abbiamo messo in atto è stata quella che riguarda le distanze sociali, basandoci sulle indicazioni dell’Istituto Superiore della Sanità italiano e adattandolo in seguito alle legislazioni dei singoli Paesi. Le leggi locali sono state per noi ovviamente fondamentali e ci siamo attenuti a quelle, ma nelle vacatio delle leggi abbiamo scelto nostre linee guida e le abbiamo portate avanti».
Quali sono stati i vostri ambiti di intervento? Quali le misure principali?
«Come ho detto, il nostro impegno è stato soprattutto mirato alla prevenzione, sotto vari aspetti. Anzitutto, abbiamo capito che non potevamo continuare a viaggiare per il mondo come avevamo fatto fino a inizio 2019. Abbiamo, quindi, cominciato fermando le trasferte intercontinentali, per poi chiudere sempre più le maglie anche a livello locale, ancor prima che fosse imposto dalla legge. Ogni Paese ha continuato a lavorare nel rispetto del distanziamento sociale e senza scambi di persone tra le varie sedi, se non strettamente necessari per la gestione del business. Abbiamo, così, garantito in ogni momento la continuità dei servizi e il rispetto dei nostri impegni verso i clienti e tutti gli stakeholders.
Siamo una società che fornisce sistemi di trasporto e, pur nelle limitazioni imposte dalle singole disposizioni governative locali, dobbiamo garantire la manutenzione dei treni e delle infrastrutture attraverso la presenza di nostro personale nei vari siti in cui occorre un nostro intervento. Siamo presenti sulle linee, nei posti di controllo e nei depositi, in assistenza al cliente, per fare gestione e manutenzione del servizio, dei veicoli e dei sistemi. Nel garantire la continuità di questi servizi dei nostri clienti, del nostro lavoro, ma ancor più per rispondere alla crescente domanda di mobilità sostenibile, abbiamo subito concentrato la nostra attenzione sulla salute e sicurezza delle persone.
Da questa necessità è nata l’esigenza di fornirci in tempi brevi dei dispositivi di protezione individuale idonei allo svolgimento delle varie attività. Il fatto di essere un’azienda globale ci ha permesso di leggere in modo efficace quelli che sarebbero stati i flussi di diffusione del virus, per cui abbiamo provveduto a fornire in tempi utili le varie sedi di mascherine e altri dispositivi necessari. In pratica, abbiamo gestito i picchi trasferendo le nostre scorte di dispositivi da un Paese all’altro, a seconda delle necessità.
Abbiamo chiesto anche aiuto alla tecnologia e ci siamo dotati di speciali caschi che, grazie a termocamere montate all’interno, sono in grado di misurare la temperatura delle persone e inviare l’informazione sul visore dell’operatore che controlla gli accessi a uffici e fabbriche. Ora gli stessi caschi vengono utilizzati anche a Fiumicino. Noi siamo riusciti ad averli in anteprima grazie al nostro network che ci aveva informato del loro impiego già in Cina. Uno strumento che, insieme a tutte le aree di sosta dei trasportatori con servizi igienici e di sanificazione loro dedicati, ci ha permesso di gestire e tenere aperti i magazzini e ricevere le merci senza che vi fossero contatti a rischio tra le persone.
Dal punto di vista del coniugare l’aspetto produttivo all’aspetto sociale, Hitachi Rail sta analizzando un progetto di autoproduzione di mascherine. «L’abbiamo fatto per due motivi – spiega l’ing. Zona –. Innanzitutto, non sappiamo per quanto tempo durerà questa situazione di emergenza. Inoltre, non sappiamo se un domani ci troveremo ad affrontare una simile situazione causata da un altro virus. L’idea di produrre in house le mascherine ci piace anche dal punto di vista sociale, perché in un eventuale momento di bisogno potremmo decidere di produrne per soggetti terzi che dovessero trovarsi in difficoltà, aiutando le comunità in cui operiamo.
Per restare all’utilizzo della tecnologia, inoltre, abbiamo attivato la digitalizzazione di tutti i documenti di trasporto, un’operazione che produrrà i suoi effetti positivi anche in futuro e che ci darà una mano verso un cambiamento che prima o poi avremmo comunque dovuto affrontare».
Dal punto di vista degli spazi lavorativi, quali cambiamenti avete predisposto?
«Abbiamo speso quasi due settimane per reimpostare l’azienda, basandoci su quella che riteniamo essere la prima barriera alla diffusione del virus, cioè la distanza sociale. Abbiamo ridisegnato i layout produttivi, identificato delle aree di crisi, impostato le lavorazioni su turni complementari e, per quanto riguarda gli uffici, abbiamo ampliato lo smart working, un processo che avevamo già avviato e impostato in epoca pre-Covid e che è stato accelerato da questa situazione. Siamo semplicemente passati da uno smart working di un giorno a settimana a uno smart working al cento per cento a casa, durante il periodo di picco epidemico, garantendo comunque l’avanzamento dei lavori, senza mai fermare definitivamente le attività progettuali e i processi produttivi. Un’operazione che ha richiesto in tempi rapidi un rafforzamento delle nostre strutture informatiche per consentire a tutti di lavorare da remoto continuando a utilizzare il network aziendale».
Avete anche fornito l’attrezzatura necessaria a chi ha lavorato da casa?
«Sì. Abbiamo fornito ai dipendenti che ne erano ancora sprovvisti i portatili e il materiale informatico necessario all’attività da svolgere. Pensiamo, ad esempio, ai disegnatori dei motori e dei veicoli, che per lavorare hanno bisogno di grandi schermi e di postazioni di lavoro particolari. Ci siamo dovuti adattare e abbiamo velocizzato i processi, così da poter mantenere la continuità del lavoro nel rispetto della sicurezza. Il che ha comportato una leggera perdita di produttività, ma questo era stato ampiamente previsto».
Come hanno reagito a queste nuove disposizioni relative allo smart working i dipendenti del Gruppo?
«Devo dire che c’è stato un ottimo feeling da entrambe le parti. Dal punto di vista dell’azienda abbiamo avuto manager capaci di gestire la situazione contingente e i processi da remoto, consentendoci, tra l’altro, di identificare ulteriori spunti utili per la definizione delle future esigenze e capacità di lavoro da remoto. Dal punto di vista dei dipendenti, c’è stata un’ottima risposta al lavoro a distanza in situazioni personali e familiari vincolate dalle limitazioni di mobilità. È chiaro che, da questo punto, l’azienda del “dopo Covid” sarà molto diversa da quella di prima della pandemia: questa, infatti, rappresenta un grande spartiacque che, alla pari di altri avvenimenti che hanno segnato la nostra storia, il più recente l’11 settembre, ha inciso e inciderà sensibilmente sulla nostra vita. Lo vediamo, del resto, nei Paesi asiatici, più esperti di noi nel gestire epidemie e malattie infettive. Se vai per lavoro a Tokyo, Taipei, Hong Kong, scopri che sottoporti al termoscanner in aeroporto è ormai un requisito essenziale per poter entrare nel Paese. Ecco, questa è una misura che ritengo verrà adottata abitualmente anche in occidente».
Fino a quale punto le aziende potranno spingersi a prevedere la diffusione dello smart working?
«Premesso che mi aspetto che il 100% della presenza in azienda non esisterà più, è difficile dire in questo momento quale sarà per il nostro gruppo la percentuale futura di lavoro da remoto. Siamo solo sicuri che non sarà né lo zero per cento, né il cento per cento. La percentuale giusta deriva da una serie di fattori, primo fra tutti quello che riguarda le infrastrutture. Occorre anzitutto abbracciare ancora di più la digitalizzazione, ovvero spostare a livello digitale quello che ancora oggi non è possibile fare online. Non si potranno sostituire alcune attività e non saranno remotizzabili, ma si può lavorare sulla cultura delle persone, tenendo anche conto del fatto che uno smart working forzato o troppo diffuso può produrre rischi psicologici nelle persone, che possono sentirsi isolate dall’azienda o persino isolate dal mondo. Non c’è solo lo smart working, ma anche nuove soluzioni di lavoro flessibile e agile, che consentono e rispettano comunque la relazione personale diretta. Su questi aspetti siamo particolarmente attenti, tanto che abbiamo deciso di pubblicare una serie di booklet per spiegare bene come affrontare questa nuova modalità operativa. Per essere più vicini alle persone li abbiamo tradotti in cinque lingue (italiano, inglese, francese, spagnolo e giapponese), così che tutti i dipendenti siano in grado di recepire suggerimenti legati sia agli aspetti lavorativi sia alla vita di tutti i giorni, preziosi non solo per loro, ma anche per le loro famiglie».
Lo smart working è importante anche sotto il profilo del rispetto ambientale…
«Certo, e questo è un altro punto importante. Oggi le regole antivirus come sappiamo stanno condizionando molto il mondo dei trasporti. Questo significa che se non sappiamo gestire bene l’equilibrio tra il lavoro da casa e il resto, tutti tenderanno a spostarsi con i mezzi propri producendo tonnellate di carbonio e di biossido di carbonio. Tra gli aspetti positivi di Covid c’è stato quello di farci riscoprire i mari limpidi e la bellezza della natura. Abbiamo visto le foto dei satelliti, che ci hanno mostrato le diramazioni di concentrazioni di pulviscolo o di particolato. Dall’alto si è finalmente rivista la Cina, che prima era ricoperta da una massa più o meno marroncina… Il mondo dei trasporti è in continua evoluzione in risposta alle esigenze sociali e noi che operiamo in questo settore dobbiamo essere pronti a raccogliere la sfida, che per noi significa ricoprire il ruolo di acelerator nell’utilizzo della tecnologia digitale al servizio dei sistemi di trasporto e nell’innovazione sociale. Penso ad esempio a stazioni intelligenti, capaci di individuare il flusso dei passeggeri e di fare accedere ai treni solo un numero stabilito, quello che permette di evitare gli assembramenti».
Per quanto riguarda le decisioni relative all’emergenza Covid-19 prese dal Gruppo Hitachi, l’Italia è al centro del percorso intrapreso. Quali sono le motivazioni che giustificano questo ruolo di rilievo?
«L’Italia, che in questa vicenda è al centro dell’attenzione di tutti i media, rappresenta per Hitachi un’area produttiva e di presenza del personale molto importante. In Italia abbiamo tre stabilimenti produttivi di veicoli a Pistoia, Napoli e Reggio Calabria. Abbiamo lo stabilimento produttivo di elettronica di Tito (Potenza) e tre sedi operative. Il numero dei dipendenti è, di conseguenza, particolarmente concentrato in Italia. Per questo il nostro Paese è stato scelto per essere la culla di questo percorso. Da oltre 24 anni mi occupo di gestione della sicurezza, in base alla mia esperienza credo sia importante legare le attività di sicurezza a quelle del business: le attività promosse nel campo della sicurezza sono di successo solo quando ideate insieme al business, altrimenti rischiano di restare delle belle idee che non si concretizzano».
Avere capacità di adattamento immaginiamo voglia dire anche riuscire, come abbiamo visto, ad adattarsi alle diverse legislazioni presenti nei vari Paesi in cui è presente il Gruppo Hitachi. È un aspetto che vi ha creato problemi di azione?
«Abbiamo dovuto relazionarci con situazioni molto diverse tra loro: in Cina c’è stato un lockdown immediato e fortissimo, in Italia ci siamo avvicinati con gradualità, in Svezia invece il lockdown non è mai esistito. Per questo, ad esempio, spiegare ai nostri colleghi svedesi che dovevano indossare la mascherina non è stato facile, perché la loro legislazione consentiva di circolare liberamente, solo mantenendo le distanze. Stessa cosa in UK, dove inizialmente non si erano presi provvedimenti e si era parlato di immunità di gregge, solo in un secondo momento è stato cambiato l’approccio. La nostra arma vincente è stata proprio la capacità di avere una task force centrale capace di fornire linee guida generali e di adattarle via via alle legislazioni dei vari Paesi».
Una particolare attenzione l’avete rivolta ai territori che ospitano le varie aziende del vostro Gruppo. Ce ne vuole parlare?
«In Italia abbiamo un grande indotto, molte aziende ci guardano e fanno riferimento a quello che facciamo e tra le nostre missioni sociali c’è anche quella di far crescere i territori. La scelta di intraprendere, come Gruppo, azioni di sostegno per ospedali o per realtà che operano in campo socio-sanitario è andata proprio in questa direzione. Al di fuori dell’emergenza, comunque, Hitachi da sempre adatta la sua linea produttiva alle esigenze del mercato e dei territori. Uno dei forum che organizziamo è proprio quello della Social Innovation, in cui ci occupiamo di tutto ciò che può essere innovazione e possa avere un impatto significativo nel sociale. Questo esempio del Covid ci dà la possibilità anche di analizzare quello che abbiamo fatto e cercare di capire come potremmo agire in maniera diversa, in maniera più efficace, perché io parto dal presupposto che tutto è fatto bene ma tutto è perfettibile. Non esistono situazioni di arrivo ma solo situazioni di partenza».
La ripresa economica sarà lenta e difficile. Come prevede possa essere il nostro futuro immediato?
«Dal punto di vista economico, penso che sarà una ripartenza difficile, in cui tanti equilibri si modificheranno. Abbiamo visto che il modello basato sulla finanza non regge più, e che bisognerà trovarne uno in grado di bilanciare le esigenze della finanza e con quelle sociali. La crisi del modello sanitario è un chiaro esempio di come nel campo della sanità si debba trovare un nuovo equilibrio tra privato e pubblico che garantisca un servizio sociale più ampio ed efficiente. E penso si dovrà anche intervenire sull’organizzazione del mondo del lavoro a livello globale. L’esempio di questi giorni è chiaro: con la chiusura della Cina si è bloccato il mondo. Pensiamo alle mascherine e a come ci siamo accorti in piena emergenza che gli unici a produrle, in tutto il mondo, erano appunto i cinesi. In un mondo del lavoro sempre più internazionale e fatto di vasi comunicanti dobbiamo sempre essere sicuri che questi vasi siano in equilibrio e non ci siano scompensi. Perché se poi rompi uno dei vasi, l’acqua nell’altro non ci arriverà mai».
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SOCIAL INNOVATION E COVID-19, QUAL È LA GIUSTA DIREZIONE?
Il business della Social Innovation di Hitachi Rail si pone da sempre l’obiettivo di creare innovazione tecnologica per migliorare la qualità della vita delle persone e raggiungere una società sostenibile, contribuendo a risolvere le questioni sociali e ambientali globali e a raggiungere gli SDGs fissati dall’ONU per il 2030.
L’emergenza Covid-19, per certi versi, può essere vista come il “punto zero” di un nuovo modo di impostare le azioni future. Sarà così anche dal punto di vista della sostenibilità? «Possiamo fare molto in questa direzione. Una delle task force che stiamo lanciando è finalizzata allo sviluppo di una mobilità sempre più integrata e sistemica per tutte le esigenze di trasporto legate all’azienda – sottolinea l’ing. Zona – . Parliamo di un progetto di mobilità che comprende l’utilizzo dei treni, del car sharing, delle auto personali e che, quindi, avrà anche il compito di proporre l’utilizzo di auto ibride e soluzioni sempre più sostenibili».
Un settore strettamente legato all’emergenza anticoronavirus è quello della produzione e dello smaltimento dei dispositivi personali di sicurezza. «Vogliamo avere un piano preciso ed efficiente che riguardi la gestione corretta dei rifiuti, perché oggi il nostro Gruppo, tra Europa e Medio Oriente, consuma circa 230mila mascherine chirurgiche e circa 110mila mascherine FP2 ogni mese. E possiamo immaginare quanti litri di gel utilizziamo».
L’intenzione è di non fermarsi qui: «A livello di gruppo, Hitachi ha lanciato il progetto “Make a Difference – Challenge to COVID-19” che ha l’obiettivo di raccogliere idee da tutto il mondo per sviluppare soluzioni utili ad affrontare la situazione attuale, adottabili da qualsiasi azienda o comunità ovunque. Siamo sicuri che da qui usciranno progetti che contribuiranno a migliorare ancor più la nostra società».
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ULDERIGO ZONA
Nato nel 1963. Laureato in Ingegneria Meccanica presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Da aprile 2020, è direttore Hitachi Rail Group per il dipartimento Safety, Health, Enviroment and Quality, a cui fa parte anche la funzione Corporate Sociali Responsability and Sustainabili-ty del gruppo.
Nell’ambito di Hitachi Rail STS Spa è stato responsabile globale per la Supply Chain & Construction Unit mantenendo la responsabilità in ambito HSE, Facility Managemement & Physical Security Unit.
Dal 2014 è stato Senior Vice President del dipartimento HSE & Facility Management essendo anche a capo delle attività di Supply Chain Management, Construction & Maintenance. Ha coordinato la realizzazione e lo Start-Up delle Metropolitane driverless in Italia (Milano Linea 5, Brescia e Roma Linea C), e della prima Metropolitana di Riyadh, in Arabia Saudita. In Australia ha cooperato per la creazione della struttura operativa di Construction & Commissioning per la realizzazione del primo sistema driverless merci.
Dal 2009 in Ansaldo STS spa è Vice President di Construction & Commissioning della Divisione Transportation oltre a Direttore Tecnico della società.
Dal 2001 in Ansaldo STS Trasporti Sistemi Ferroviari s.p.a. è Responsabile della Direzione Costruzioni coordinando tutte le attività di Logistica, Costruzione e Messa in Servizio dei sistemi di Trasporto Ferroviario e Metropolitane. Nello stesso periodo assume la responsabilità del presidio gestionale e sviluppo commerciale dei business Metro Milano e Alta Velocità Alimentazione. In Ansaldo Trasporti Sistemi Ferroviari viene nominato Direttore Tecnico e assume l’incarico di Datore di Lavoro.
Dal 1987 ha lavorato in Ansaldo STS Trasporti spa prima nella Divisione Segnalamento ricoprendo vari ruoli nell’ambito delle Costruzioni e della Fabbrica e poi nella Divisione Sistemi come Responsabile della Realizzazione.
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Pubblicato sul magazine CSROggi n. 16 (anno 5 n. 2) Maggio 2020